Dal diario di Primo Momo: Grivola Parete Nord-Est in solitaria

Dal diario di Primo Momo

Dal Diario di Primo Momo: racconta la sua salita alla Nord-Est della Grivola in solitaria.
Per gentile concessione di Martino Borrione, Laura Rondolotto e Franco Antonacci.

Grivola Parete Nord Est. (Foto tratta da Gognablog)

16-7-1938

Salita alla Grivola per la Parete N.E. da solo (m 3.969)

Quando nel luglio del 1937 fui alla base della cresta Nord della Grivola per salirla poco mancò che, unitamente ai miei due amici decidessimo di variare itinerario e tentassimo la meravigliosa parete di 700 metri, che come un muro ci si drizzava innanzi: la parete Nord-Nord-Est, salita una sola volta nel 1926 dalla cordata Binel-Cretier.

La tentazione era grande, ma quel giorno il vento fu semplicemente eccezionale (anche per l’alta montagna) e fu non senza fatica che percorremmo la cresta Nord. Rimandai il tentativo ad altra occasione, ed infatti eccomi un anno dopo (17 luglio 1938) a tu per tu con la bianca tentatrice, sul ghiacciaio del Nomenon.

Sono con me tre compagni, due dei quali saliranno la cresta Nord; ma poiché l’unico amico che dovrebbe essermi compagno nella salita, è indisposto, decido ugualmente di intraprendere l’ascensione, e tutto solo, alle 7,15 varco senza difficoltà la crepaccia terminale un po’ a destra sulla parete.

Mi sposto quindi verso il centro, in direzione dell’anticima, e inizio a ramponare su neve ottima che permette ai miei “dodici punte” di farmi procedere relativamente in fretta, usando la piccozza unicamente come sostegno. Benché il pendio si presenti subito nella sua massima pendenza, dopo nemmeno un’ora ho già salito 200 metri circa di parete e mi trovo sotto alcune rocce insolite. Qui la piccozza viene chiamata all’opera per superare un vasto solco di ghiaccio vivo.

Salendo avevo pensato di tenermi sulla direzione delle rocce per potervi eventualmente sostare, ma per le speciali condizioni dell’annata, il ghiaccio vicino alle stesse, si presenta di uno spessore minimo ed è pericoloso intagliare gradini un po’ ampi. Passato questo breve tratto, ove però impiego una ventina di minuti, riprendo a salire speditamente senza l’aiuto di gradini ed unicamente colle punte anteriori dei ramponi. Più sopra, costeggio altre piccole rocce e una mezz’ora appresso abbordo una prima fascia di queste, abbastanza malsicure con pochi appigli e sulle quali i ramponi mi intralciano non poco i movimenti. Riprendo poi il lavoro di piccozza e mi porto sotto la seconda fascia rocciosa. Debbo qui superare una specie di canale ampio, in ghiaccio duro, sul quale affiorano qua e là alcune pietre. La marcia è ora assai lenta, la piccozza vibra sotto i colpi, ma guadagno poco in altezza. Raggiungo alfine le rocce consistenti in placche ricoperte quasi ovunque da un leggero strato di ghiaccio e di neve fradicia data la giornata piuttosto calda.

Senza togliermi i ramponi mi innalzo 25- 30 metri sulle predette placche, tutte malsicure con appigli per lo più rivolti al basso. Mi fermo ancorato all’ultima roccia, che non vedo ancora come potrò superare; una quarantina di metri, tutti di ghiaccio, mi separano dalla più alta fascia rocciosa e, più oltre, il pendio terminale nevoso che spero in buone condizioni.

Per intanto, prendo fiato e studio l’immediato passaggio.

Provo e riprovo a sinistra ed a destra; impossibile: il passo che prima pareva soltanto difficile, ora si presenta proprio impossibile. Il tempo intanto passa velocemente senza ch’io me ne accorga. Dopo circa due ore sono sempre nell’incomoda identica posizione che va rendendosi insostenibile. Se mi potessi togliere i ramponi, sono certo che supererei l’ostacolo, ma a tale operazione neppure ci penso. Cerco di poggiare sulla mia destra nel tentativo di raggiungere la cresta Nord: nulla da fare; le rocce sono più che altrove instabili e levigate. Un brivido mi scorre per le vene: dovrò tentare l’intentabile o votarmi all’esaurimento e successivamente alla caduta?

Tentare la discesa di quelle placche sarebbe temerarietà. Non v’è scelta e, dopo angosciose alternative, tento il tutto per tutto. Appoggiato ad un esile fessurina il becco della piccozza, mi innalzo sulle reni e tocco un appiglio poco pronunciato ma che fortunatamente tiene bene e m’aiuta grazie ad alcune mosse di estrema delicatezza, ad abbrancarne un altro un po’ più in alto e sicuro. I ramponi pare abbiano aderito bene alla pietra un po’ rugosa (ciò che costituiva il mio dubbio) e finalmente il grave pericolo è passato: pochi secondi sono bastati a risolvere il problema di due ore di ricerche affannose.

I rimanenti 200 metri non mi preoccupano molto.

Lo spessore del ghiaccio è quasi assai ridotto e con somma prudenza vi intaglio i primi gradini. Più in alto, tocco l’ultima grande fascia rocciosa, che si presenta più abbordabile della prima, anche se la neve la ricopre parzialmente.

Una breve fumata ed inizio la lunga teoria di gradini (200 circa), quasi tutti su ghiaccio della più dura specie. Lavoro faticoso, reso malagevole dalla pendenza veramente notevole della parete, della quale raggiungo il termine poco sotto l’anticima; poi la crestina, alle 13,20 circa sono in vetta.

Tempo impiegato: ore 6 che con la parete maggiormente innevata si potrà ridurre sensibilmente.

Questo secondo itinerario sulla parete Nord-Nord-Est della Grivola, si svolge assai più a destra di quello percorso da Cretier-Binel.

Primo Momo a sinistra con Bruno Pofi a destra: a quei tempi era consuetudine raggiungere da Biella la Valle d'Aosta in bicicletta

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