Guido Machetto e il ladro di chiodi

Guido Machetto e il ladro di chiodi

Era un pomeriggio qualsiasi del novembre ’75, ero salito in bici a Chiavolino, più per guardare le piccole pareti che per arrampicare, ero solo, mi piaceva star lì a contemplare la roccia e sognare. Guido è arrivato, io mi son fatto da parte, non ha parlato, è salito in cima alla parete passando da dietro per il sentiero, ha messo una corda, azzurra, bellissima, poi assicurandosi con un jumar risaliva tirando i cinque chiodi presenti nella fessura verticale. “Mi sto allenando… vuoi arrampicare?” le gambe molli per l’emozione, mi lego la corda in vita e avanti una dopo l’altra le brevi vie della parete sono salite, poi altri passaggi in libera, slegati come si usava allora “questo si fa così, scavalchi come passare un muretto” bellissimo ero estasiato.
Machetto allora per noi era un Dio, io avevo avuto la fortuna di arrampicare con lui.

Tornato a casa galleggiavo a mezz’aria, una sensazione che ho riprovato poche volte nella vita, ma i cinque chiodi mi facevano gola. Il diavolo era in me, cinque chiodi Cassin nuovi, lì a portata di mano. Il giorno successivo torno sul luogo e mi calo da sopra schiodando la via, un ladro, a quattordici anni, già ladro. Senza sensi di colpa prendo chiodi corda e bici e torno a casa. Va detto che allora era cosa normale schiodare le vie, lo facevano tutti, a volte si aspettava la domenica successiva alle gite dei vari CAI della pianura, sui Carisey per passare a razziare il materiale abbandonato, così facevano e insegnavano i vecchi, era la prassi, non esistevano protezioni veloci, si chiodava poco e niente, chi metteva chiodi in eccesso e li lasciava in posto, con il consenso di tutti era depredato, non era certo il caso della parete di Chiavolino, ma io allora non avevo colto.

Venerdì sera vado al CAI, non amavo quell’ambiente permeato di rigida gerarchia, ma ero affascinato dalla biblioteca, volumi interessanti, che potevo sfogliare e leggere a volontà entrando nelle pieghe della storia dell’alpinismo. Machetto era lì appoggiato al finestrotto della segreteria, braccia conserte, sembrava il gatto con il topo, con la porta ancora in mano vengo rosso e un colpo di calore mi sale alla testa, eccomi alla resa dei conti “Sei tu che hai preso i chiodi” aspetto il peggio, ma lui mi sorride sereno, “potevi dirlo”, prende un pezzo di carta e scrive, il suo nome indirizzo e telefono “se ti servono i chiodi telefonami, te li do io”. Quell’uomo nel suo giubbotto Samar dei maestri di sci, improvvisamente per me è diventato un gigante, un mito, la sua lezione è stata grandissima ed è entrata per sempre nel mio carattere. Così ricordo Guido Machetto.

Il giorno dell’incidente ero in montagna, tornato a casa mia nonna mi ha detto, ed io ho pianto, lacrime vere, e anche adesso dopo tanti anni quando mi viene in mano quel biglietto di carta e penso a Lui mi sale una profonda tristezza.

Guida Alpina Gianni Lanza

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